Leggevo non so dove qualche giorno fa che “da una ferita nel terreno può entrare la luce”. Probabilmente qualcosa di simile, sull’approfondimento di un famoso estratto del musulmano Jalal Al-Din Muhammad Rumi, che scrisse nel dodicesimo secolo: «Quello che fa male, ti benedice. L’oscurità è la tua candela. Dove c’è la rovina, c’è speranza per un tesoro. Non allontanarti. Mantieni il tuo sguardo su quel posto fasciato. È lì che entra la luce dentro di te. Il dolore può essere il giardino della compassione. Se mantieni il tuo cuore aperto a tutto ciò, il dolore può diventare il tuo più grande alleato nella ricerca di amore e saggezza. Continua a rompere il tuo cuore, fin quando non si aprirà».
il cantautore canadese Leonard Cohen, nella sua bellissima canzone Anthem, riprendeva lo stesso concetto: «There is a crack, a crack in everything / That’s how the light gets», in ogni cosa c’è una ferita, è da lì che entra la luce. Per diventare ciò per cui siamo fatti, per essere luce, dobbiamo dunque tenere lo sguardo sulle nostre ferite, senza commentarle, senza ragionarci su, e accettarle con amore.

Al di là di buonistici propositi di povertà = illuminazione o maestrìa che inevitabilmente possono darmi il dubbio, siamo di fronte a quello che la vita ci propone per evolvere, per migliorare, per capire. Esattamente come all’ottava superiore, il torto ricevuto non è mai esistito, se non nell’applicazione di uno schema per il quale il proprio meccanismo di reazione, ha evidenziato la dinamica che soffriamo e che manifesta qualcosa di noi da risolvere per alleggerirsi ed elevarsi, proprio come la mongolfiera per salire sempre più in alto.

Poi questo curioso paragone con le zone delle nostre reazioni legate al grado di vicinanza a noi, che ho affrontato nello studio di questo ultimo mese. La situazione ed il paragone vanno immaginati come nella seguente figura. Vi è un cerchio che contiene una casa. Si possono immaginare tre luoghi in cui si posizionano le importanze dei nostri rapporti. Fuori da questo cerchio si possono annoverare le innumerevoli conoscenze che abbiamo, nel mio caso mi rendo conto di conoscere davvero tante persone in tutta italia, grazie alla preziosa opportunità che il lavoro fieristico mi offre. Alcune davvero speciali, meravigliose, amicizie di quel luogo che ritrovo spesso o fortifico ulteriormente ai miei “ritorni”. Ma anche non necessariamente lontane, una certa quantità di persone che conosco e che senza superficialità, riesco a gestire senza accusare eventuali comportamenti poco graditi. All’interno del cerchio vi è la casa, e una serie di persone si presenta sull’uscio, proprio all’ingresso, sicuramente al di fuori del suo interno ma molto vicino. Queste sono le persone che considero vicino, molto vicino, sebbene non calpestino il pavimento del mio luogo sacro, della mia intimità. Il simbolismo di quella casa. Quella casa che ha un nucleo di persone più esiguo, solitamente quelle che si contano al massimo sul palmo o con le dita di una mano e che rappresentano coloro che hanno con noi un rapporto stretto, intimo, con cui non vi è alcun pudore o imbarazzo, ma profonda confidenza, rapporti che conciliano l’ausilio di poter parlare di qualunque cosa, anche le più personali e profonde. La differenza fra questi tre tipi di persone, nell’avvicinarsi alla zona centrale del proprio cuore, o casa che dir si voglia, è nella crescente confidenza, nel crescente fuoco che i comportamenti e le dinamiche che queste persone possono innescare in noi. E la vicinanza, l’affetto, l’amore, sono il comburente per il fuoco delle nostre reazioni con queste persone e la nostra relazione con loro. E queste reazioni, a volte veri e propri petardi, sono figlie delle ferite che portiamo con noi, e delle relative maschere che indossiamo per proteggerci da questo dolore. Quel dolore che ci è capitato per evolvere, quella ferita da cui può filtrare quella luce divina, l’unica capace di farci ascendere.

Ma c’è un però. E ce n’è più di uno. Innanzitutto la squadra. C’è una squadra che in testa al campionato perde il titolo proprio nelle battute finali. Ed è quella per cui le ferite vanno risanate. Errore. A volte le ferite non si risanano, ed hanno l’effetto dell’ostacolo, il daimon che dividendo riconduce verso la via per l’uno. Quindi come criterio evolutivo consentono una crescita altrimenti impossibile. Alcune ferite non saranno mai risanate, forse perché estremamente utili, forse perché antiche, alcune karmiche, ed in fatto di utilità forse necessarie. Poi con la scusa della ferita la maschera può diventare quella di Zorro senza alcun problema, senza alcun testimone.
Ma finora non si è detto nulla. Riflettevo proprio tra oggi e ieri su due mie dinamiche. I regali e le mance. Da quali ferite verrebbero? Oppure, ancor meglio, espleto ciò che non ho avuto o che avrei sempre voluto ricevere? Eppure ho difficoltà ad accettare doni, provo un imbarazzo fortissimo. C’è un capitolo di un famoso loro di Brizzi, intitolato “compi il tuo dovere”, appositamente scritto per scusare e motivare le mie mance, quasi un dubbio sul voler comprare una gentilezza. Sul comprare un rispetto che spontaneo forse non sarebbe. Difatti quando nei ristoranti ritorno e mi chiamano per nome rimango sempre abbastanza sorpreso, poi mi consolo rapidamente sul perché. Eppure mi chiedo da dove venga. Quando ero piccolo indubbiamente desideravo ricevere un regalo ogniqualvolta incontravo un parente o un amico di famiglia che non si vedeva da un po’. Non so bene il perché, ma per me tornare dopo tanto tempo, era occasione di portare regali da dove si era venuti, o da dove si era stati, fosse anche in vacanza. E difatti quando torno da un viaggio lungo di lavoro, cerco sempre di portare qualcosa a chiunque. Nella ferita della specifica cosa c’è comunque un aneddoto. Da sempre ho patito l’egoismo ed il relativo timore di perdere o di non avere abbastanza. Difatti, e ancora lo riconosco, tendo a “mangiare con gli occhi”, a volte ordino cibo come se pesassi ancora 100 e rotti kg, accumulo cose che compro senza criterio, sebbene il criterio è quello delle cose che mi piacciono, senza pensare a me stesso direttamente, poi vengo colto da una voce interiore che me ne fa disfare, e allora regalo, a chi mi trovo davanti, senza preferenza, tutto quello accumulato e difficilmente rimane qualcosa per me. Sono stato talmente egoista che ancora contrasto quella vena donando indistintamente in maniera completamente irrazionale. A volte mi capita di essere riconoscente verso qualcuno, e riesco a sorprenderlo regalando ciò che ho in borsa, comprato, in quantità, pensando ai bambini delle mie sorelle, alle mie collaboratrici, ai miei amori. A volte avviene in maniera così rocambolesca e sincronica che riesco a bermela pensando di aver sentito bene.

Queste ferite e questi schemi di comportamento devono per forza trovare il paio con le programmazioni che ho ricevuto, incrociate assieme con ciò che il destino mi mostra. Da questo punto di vista, l’universo mi mostra e mi propone, i miei schemi, le programmazioni, le ferite e le mie maschere dispongono. Eppure tornando alle persone sull’uscio di casa, rispetto a quelle dentro casa, constato come sia sempre più difficile interdire e interrompere alcuni atteggiamenti fastidiosi senza patirne in nervosismo, o peggio, rovinarsi l’umore. Per quanto mi riguarda, riesco con le persone delle due zone esterne alla casa, a gestire l’offesa senza battere ciglio, ma con quelli all’interno della casa, reagisco o patisco, mi arrabbio o mi offendo. E devo ancora imparare tanto, non sono per niente soddisfatto delle mie reazioni, per le quali poi sto male a lungo. molto a lungo, pentito, di non aver potuto fare meglio.

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