Capitolo zero, forse. Stavolta sperimento la scrittura come trama narrativa. Ho voglia di raccontare una storia, molto lunga, interessante, normale, speciale, curiosa, ordinaria, straordinaria, tutti aggettivi condimenti presenti in questa insalata di vita. Per cui questo potrebbe rappresentare una puntata “pilot”, un capitolo simile ad un prologo, un livello “meno 1” di un videogame epico.
C’è in primo piano questa donna, che ancora non conoscevo, ma che oggi conosco bene, sebbene di lei a volte credo di sapere tutto, molte altre penso di non sapere nulla. E comprendo bene cosa “so” di non sapere. E correva l’anno 1975, probabilmente il mese delle rose, o di Maria, tarda primavera e inizio estate un po particolare, per cui i suoi 16 anni potevano spingere verso una voglia di libertà. Forse quella famiglia, quel lavoro che aveva preso il posto di un talento con i numeri, che fossero combinazioni di numeri telefonici, targhe, conteggi, quella mente sinistra che immagazzinava, memorizzava scambiando e riponendo in quei cassetti così oliati e scorrevoli come infiniti lettori che aspettano il cd per scarrellarlo all’interno. Quella figura della “benzinaia”, una passione per le moto e la capacità di riconoscerne i cilindri ed i difetti dal suono. Quella pompa della benzina miscelata all’olio, il cui percentuale era di vitale importanza per la lubrificazione, indispensabile per i numerosi due tempi che arrivavano continuamente, prima di ripartire. Così come le auto di ogni tipo che potevano avvicinarsi a quel mare, bellissimo come un incanto, un luogo in cui i bambini potevano ancora andare soli, e se si perdevano c’era la publifono, che li richiamava al sicuro, e quei sandaletti retati trasparenti non riuscivano perfettamente a riparare i piedini dai piccoli dispetti degli innumerevoli granchi. Ci si partiva da casa. E Casa era lì, dove auto e moto rifornivano il carburante o venivano curate, riparate, lavate. Un servizio, un lavoro, una famiglia. Già, perche lì i motori si fermavano per abbeverarsi, prima di ripartire verso chissà dove. E quella donna, ragazzina respirava un misto di gelsomino, di phitosforo, e di benzene mischiati alla salsedine, fragranze inebrianti che esattamente come l’ambra cetacea, magico risultato di una marea rientrata, la cullavano verso una fuga, un viaggio, rappresentante finalmente un’andata e un ritorno, anziché il solito ruolo di custode di una sosta.
Le persone che venivano a “far benzina”, erano solite ritornarci, per comodità, o per simpatia, a volte il rapporto cresceva e diventava un’amicizia. Quel tipo di amicizia avvicinava persone che altrimenti non avrebbero mai avuto la possibilità di vedersi, di conoscersi, o di amarsi.
Sua madre era nata per una particolare usanza della sua famiglia romana, a Rimini, e proprio qui ritornata perché le mancava lo iodio, a differenza di tutti i suoi fratelli rimasti in quel di Roma, Tivoli, Guidonia. La famiglia di sua madre aveva perno nella cultura e in quella parte est di Roma il padre ed il fratello avevano curato le belle arti di diverse ed importanti chiese. Per lei questo matrimonio è con tanto amore un sacrificio dietro l’altro, condito da vari voti, o “fioretti”, e la leadership di chi porta i pantaloni davvero…
Il papà della ragazza, (che in romagna si è soliti chiamare babbo), che aveva visto da bambino la guerra ed aveva imparato a scavare dei fossi in cui seppellire soldati, è scappato da queste difficoltà, e si era adattato al lavoro di meccanico, un’occasione propiziata da un doloroso evento di un familiare che ha aperto quella porta, quell’opportunità, cercando di mantenere la passione del musicista, virtuoso della fisarmonica ancor prima di farsi crescere i baffi.
Antonella, così è il suo nome, è la figlia di mezzo tra tre, Annalisa di tre anni più grande e Gabriele il tanto desiderato maschio che arriva a giochi fatti nel 69. Per la prima la scuola ricalca le orme della madre, istituto magistrale e talento da maestra, per l’ultimo nato le orme paterne vengono seguite ma con il desiderio di stare per conto proprio. Ma al momento è ancora presto, e in quel maggio del 75 “Toni”, come era chiamata da tutti, tra un salto al piccolo supermercato per la spesa, che la madre le commissionava, riusciva ad acchiapparsi una copia di “intrepido” e “il monello”, che da tempo avevano preso il posto del “corriere dei piccoli”. La lettura perfeziona la cultura e stimola la fantasia. Anche Diabolik soddisfava la sete della sua curiosità sulla possibilità di un crimine che ha il viso del giusto. Quel ladro che grazie alle maschere riusciva a prendere sembianze altrui per fare “ciò che non potrebbe”, essendo chi non è. Ed un colpo di scena finale quasi sempre presente. Una particolare evasione.
Come quella che quel giorno si è presa la briga di regalarsi.
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