Amabile la difficoltà per discernere dallo schema che avvia
ogni casistica di azione e reazione di vita altrui e mia,
la gogna del sestante punta verso il quieto orizzonte
anch’esso probabile allievo del sontuoso e irto monte.
Apprezzo il nitido e mai banale riflesso di quella luce
che illumina e riscalda la mente e il colore nel sogno,
durante quella immobile notte che oniricamente conduce
nella corsia a ponente dell’interiore percorso al bisogno.
Quale è la differenza fra senso di giustizia e buon senso? Anch’essi sono sottoposti ad uno schema, per cui il famoso taoismo, specchio della concezione per cui “in tutto il bene c’è sempre un po’ di male, e viceversa”, dispone e propone al contempo la divinità per cui si decide in un senso o nell’altro.
Come fare quando una pianta che ha una parte del fusto marcito sia l’unica e non sostituibile, e degna di essere risanata? La via è unica, ed è la medesima del risanare la ferita, sia fisica che emotiva, per non parlare di quella karmica. Come fare quindi a risanare una ferita? Sappiamo che una ferita esposta all’aria bruci, e che il cerotto ripari ma non consenta la guarigione perfetta. La perfetta guarigione dipende da altri fattori. Si pensi ad un dolore o ad un trauma passato. Ciò risentirà negli schemi di comportamento e soprattutto nei meccanismi di difesa inconsci che intervengono nell’essere umano di fronte a dinamiche che anche soltanto possano ricordare un tale evento. Asportare la parte infetta o potenzialmente marcita provoca un dolore non indifferente. Già iniziare quel processo, quell’azione, innescherà un meccanismo per cui immediatamente qualcosa ci spingerà verso il tornare indietro, lasciando tutto com’è, aspettando di tornare al minor male precedente. Continuare invece, asportando tutta la parte malata fino a quella sana, è un lavoro duro e difficile, che richiede costanza e soprattutto l’essere impavidi di fronte al grande dolore. Un dolore che cresce e si mantiene molto forte, così come quello che si evidenzia di fronte a tutto ciò che, sebbene con intenzione di amore, abbiamo creato per nascondere, quel taglio, di cui spesso non abbiamo diretta responsabiltà d’azione, ma spesso un lieto karma precedente che ci ricorda chi eravamo.
Nell’identificazione di ciò che è rappresentabile nella paura si evidenzia una protezione di fronte a qualcosa di sconosciuto. Materiale o immateriale. Quindi ci proteggiamo soffrendo. Interessante. Quanto diffficile da contraddire. Eppure non è davvero questo ciò di cui avrei bisogno di scrivere. Ma considerando che ho iniziato a scrivere da circa cinque giorni, di cose ne succedono, parecchie, e di certo non è così semplice passare da un concetto all’altro, nel contesto della correlazione delle simbologie, dei significati, e delle relative evoluzioni dopo giorni di eventi e di avventi.
E poi tutto, tutto quello che può succedere, e manifestarsi, come segno e simbolo di ciò che sei.
Si perché noi vediamo le cose come noi siamo. O meglio, “noi non vediamo le cose come sono, vediamo le cose come siamo”. Il babilonese Talmud aveva pienamente ragione e seminava il primo concetto legato alla simmetria di presenza di sé che affonda le basi nell’auto osservazione. E di conseguenza, la dissonanza cognitiva, false credenze, visione e giudizio selettivo, rientrano a pieno regime nel contesto di questa frase, piena e tipica, riassunto di ciò che nemmeno coscienti facciamo, pensiamo, crediamo, in sostanza ci muove verso il fine. Un fine che non è un termine, perché portati a spasso dal giudizio, ignari dei segnali che, visti esternamente sono molto più evidenti, ma soggettivamente sono un rebus senza lettere, da astrarre in un linguaggio ancora sconosciuto.
Oggi la scelta del male minore rappresenta simbolicamente una situazione in cui ti ritrovi in ritardo e devi oramai decidere, ben consapevole di come la scelta sarebbe stata scandita su altre alternative se solo si fosse agito in maniera differente. Il male minore è la scelta, è la risultante, è il contrappasso del peccato commesso e che come i semi del karma che vengono sparsi alla morte della vita precedente, nella perfezione di questa esistenza correlata alle precedenti e alle future, vengono raccolti e si osserva la crescita e le richieste del tenere in vita questa nuova specie botanica. Oggi osservo come un male minore dipenda anche dalle mie e altrui “non scelte”, quelle che hanno innescato il “non risultato”. Quello per cui oggi si piange cercando colpevoli, come se la ricerca e l’attribuzione potesse cambiare l’epilogo.
La vita di due bambine di 11 e 13 anni dipende dalla stupidità, dalla superficialità e dall’irresponsabilità delle paure e di tutte le intenzioni “errate” di amore di chi le segue,di chi le osserva, di chi ne fa le semplici veci. E l’ inosservanza di alcune semplici regole ne fa il destino. L’integrità educativa è uno schema, che come recentemente ho scritto, a volte ti tiene in vita sano, e stavolta la libertà ha avuto una accezione ammalata, nel nutrire quell’anima dal karma tossico, che stavolta nella scelta di questo male minore porterà ad un dolore immenso. Una madre che temporaneamente abbandona i propri figli, un padre che viene estromesso per sue e fortuite colpe, parenti che si trovano di fronte ad un problema più grande della propria esperienza e la propria prerogativa, aspettativa, le cui regole, i cui valori, completamente rivisti e ribaltati, non bastano per raddrizzare un angolo retto. Retto da qualcun altro che probabilmente poteva essere, forse raddrizzato, da una linea generazionale che di madre in figlia, da circa 50 anni si ripete, o forse da ancora prima. Ci si ritrova in un’altra linea karmica e materiale che incide in questa perfetta imperfezione, della quale alcuni apparentemente innocenti colpevoli pagano con il loro avvenire colpe antiche.
Eppure io so che quando le porteranno via sentirò un dolore che mi segnerà per sempre, un dolore che già preavviso, pregusto, è come se lo conoscessi, pronto ad esplodere nuovamente, in una detonazione controllata e devastante, che so mi annienterà. La profezia delle mie colpe e delle mie ignave non decisioni, basta a dipingere il quadro della mia delusione, immensa, condita dal sale del dissapore, del mio cuore infranto dagli schiaffi che ho dato, frutto della mia frustrazione, della mia perdita di controllo, di ciò che non sono ancora in grado di fare, di ciò che non ho ancora imparato e per il quale ne faccio le spese insieme alle anime più giovani e innocenti che mi accompagnano.


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