Un mese esatto è trascorso dalle ultime considerazioni. Quelle considerazioni da finale di scuola tipiche e celebrative per cui poi la vita ti ribalta tutto in un secondo. Quella vita che opera per te e mai contro. Anche quando, il primo di luglio, rientrando da Imperia, all’altezza di Piacenza, quindi circa a metà strada, il mio piede sull’acceleratore preme perché una telefonata annuncia che mia mamma è in ospedale, per una rovinosa e grave caduta, un codice rosso che attende solo il termine della terza trasfusione per l’urgenza di un primo delicatissimo intervento. Quel ruolo che cambia e l’impellenza di quella Treviso che per venti giorni attende il mio compito. Il mio lavoro. Quel lavoro che per venti giorni mi terrà lontano da lei, che però in compagni della mia amata socia è meglio che tra le mie braccia. Nel mentre, o poco prima approfondisco quel tema per cui ci sarebbe qualcosa a livello spirituale che mi butta giu ogni volta che mi rialzo. E a rialzarmi devo dire che sono diventato abbastanza bravino… Eppure, eppur si muove.
Eppure è così, la difficoltà economica è diventata una partita a scacchi in cui hai nel frattempo perso già la fila di pedoni frontale, mia sorella e le “nostre” bambine sono tutte in comunità diverse, con dolore, sì, ma per il loro bene, la mia Ester mi ha lasciato, o meglio, ho dovuto lasciarla, ci sono diversi problemi ogni giorno. La mia seconda mamma, quella donna di cui sono sempre stato innamorato mi ha lasciato in un mese esattamente un anno fa. Mia mamma, con il rischio di amputazione, setticemia e morte, sebbene quasi scampati, viene meno al suo ruolo, e anche quel ruolo si ribalta, quel nutrimento viene meno e anche la storia economica della mia attività non si risolleva, non riuscendo a contenere mese dopo mese le perdite. L’idea che aspetto o l’azione da intraprendere non si manifesta completamente, probabilmente perché non sono davvero pronto, e non so più se c’è realmente ancora tempo. Lo sforzo di manifestare tranquillità e sicurezza, a sipario chiuso crolla come se fosse di cartapesta. Sembra quasi fatto dello stesso materiale del Lem del ‘69. A tratti non so più a cosa aggrapparmi, e se ci penso bene probabilmente è proprio così, non posso più aggrapparmi. Non ho più appoggi o appigli, e devo stare in piedi da solo, anche se mancano le forze o l’equilibrio. Dovrò trovare tutte queste cose in nuove dinamiche, in nuove idee, pur cosciente che non posso, non voglio e non devo abbandonare una nave che sto cercando di riparare, anche se fa acqua da varie falle. Questa non è una grandissima serata, anche se sono cosciente che in fondo sono solo soldi, sebbene sia sempre io quello a cui li chiedono tutti, e dio solo sa quanto mi senta in difetto, oltre alla carenza. Ma anche per questa constatazione ci sarà un messaggio nella bottiglia. Mesi fa trovavo rime per esprimere meraviglia, dolore, stupore, vergogna ed amore, osservazioni ancora esistenti, ma ora in questa fase stento e arranco. Quella cosa a cui mi aggrappo e non ho intenzione di mollare, a tratti la identifico come un qualcosa da lasciare andare, o da essere capace di considerare, o meglio “pronto” a non averla più. Quell’abitudine di essere o avere una determinata cosa o identità, occasionalmente considero come mi sia di impiccio per vedere che c’è sicuramente anche altro. A tratti però capisco come l’illusione, pura e semplice di quella condizione, sia l’unica cosa che mi avvelena. Perché in fondo non considero che sto bene, che sono nel pieno di una maturità mai prevista, e sebbene manchi l’elemento dell’indipendenza e della ricchezza intese come effetto collaterale della mia coerenza, escluso sempre l’alibi del karma che mi fa scontare pregressi crimini, mi perdo in un bicchier d’acqua. Che è diventato una piscina, ma a quanto per ora mi ricordo come nuotare, si tratta solo di allenare il fiato.
Mia mamma in questo momento mi mostra una serie di esempi di familiarità, ferite e maschere, pregi e difetti familiari, ma tra tutto, emerge il suo glorioso affidamento, quell’arrendersi e lasciarsi andare all’evento, da affrontare con fatica, fiducia e pazienza. Questa è una chiave. E non voglio perdere anche questa.

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