Questo documento ufficialmente risalente al 200 DC è forse il capostipite di ogni disciplina olistica odierna e antica. I primi commentari del Talmud sono stati scritti dai Gheonim (circa 800-1000 a.C.) a Babilonia. Quindi è facile anche andare indietro, parecchio indietro rispetto alla sua scrittura e compilazione, tra i vari documenti raccolti. Ineffabili le scritture e le riflessioni sulla donna, ad esempio…
”Dieci misure di discorso scesero sul mondo, le donne ne hanno prese nove. Le donne sono luce sulla cruda conoscenza — cioè, posseggono più intuizione. Un uomo senza moglie vive senza gioia, benedizione e bontà; l’uomo deve amare sua moglie come sè stesso e rispettarla più di sè stesso”.
Injoltre, una celebre frase del Talmud parla del rapporto tra pensiero, parole, abitudini, carattere e destino: “Stai attento ai tuoi pensieri, perché diventeranno le tue parole, Stai attento alle tue parole, perché diventeranno le tue azioni. Stai attento alle tue azioni, perché diventeranno le tue abitudini.
E per continuare, “Quando i giusti vengono al mondo, il bene pure viene nel mondo e la sventura ne è scacciata, ma quando i giusti se ne vanno dal mondo, la sventura ritorna nel mondo e il bene ne è scacciato”.
Inoltre un maestro asceso e illuminato come Gesù è citato in questo libro, che ne parla in maniera non convenzionale. Il Talmud contiene infatti un riferimento a Gesù, nel quale si dice che egli fu giustiziato alla vigilia di Pasqua perché “praticava la stregoneria”. Sorprese, ma nemmeno tanto sorprendenti.

Ma quello su cui vorrei soffermarmi è essenzialmente una chiave di lettura che ha fatto da base da ogni disciplina olistica odierna. Dall’ I-ching ai Veda, da Gesù a Osho, passando per ogni maestro possibile, da Gesù a Tich Nat Than, espressamente ripreso dalla Bailey e da Gourdjeff (tralasciandone sicuramente tanti), c’è una frase che fino a Matrix riassume e dà l’inizio a tutto.
Noi non vediamo le cose per come esse sono, noi vediamo le cose per come noi siamo.
Da lì in poi, senza negare l’evidenza di questo assioma, la parafrasi del “noi attiriamo ciò che siamo” è un getto d’acqua di sorgente in un inferno di assetati. Un modo unico e inimitabile per destinare ciò che avviene interiormente senza bisogno di essere elencato. Attirare ciò che si è, è un comandamento, vedere nel mondo circostante ciò che si è, è ancora più profondo e sottile, ma proporzionalmente molto più evidente, se togliamo le bende dagli occhi del nostro vittimismo o della nostra ricerca di colpevoli, scusanti, motivi per cui deporre la colpa all’esterno, anziché considerare che ogni cosa l’abbiamo creata noi. Scegliere di spostarsi dal perché al come. Riconoscere quel muro di mattoni come lo schema che ci impedisce di vedere qualcosa che non siamo pronti a vedere. Laddove incominciamo ad esserlo, allora cominciano i dolori. Nulla è più scontato, nulla avviene per caso e inoltre va visto sempre come opportunità, anche nel dolore. Tutto co-creato da noi nella perfezione degli altri. Questa vita di carne, in questo pianeta che non ci appartiene, investita ad imparare ciò che gli animali sanno fare e ci mostrano con estrema scioltezza. La coerenza. Gli animali non si pongono nemmeno il dubbio se il loro libero arbitrio è influenzato. Lì si tratta di coerenza pura, sopravvivenza, e non vi è dubbio nella scelta del bene o del male. Ciò che nella dualità che ci contraddistingue ci frega e ci mantiene malati e divisi. Pur con un ruolo apparentemente relegato e inferiore al nostro, gli animali ci insegnano il primo step per sganciarci dalla materialità e dalla malattia. I nostri schemi e le nostre identificazioni sono la nostra malattia, l’evento utile a guarire. esattamente come la febbre che sancisce la fine di una precedente sofferenza. Siamo influenzati da noi stessi e su quella visione siamo pure capaci di decidere, per noi e per gli altri.
Abbiamo un bagaglio di malattia sana che ci tiene in vita nel periodo incosciente, automatismi educativi e istruttivi che spesso ereditiamo in linea genetica, karmica e sociale. Poi nel cammino, quella esperienziale. Poi se la coscienza vera e propria (non quella dell’esame) dovesse cominciare a bussare alla porta, allora è lì che inizia il lavoro del riconoscere, riconoscendosi nel mondo circostante e negli attori facenti parte il proprio film. Vediamo il mondo e le cose come siamo noi in quel momento, influenzando fortemente gli eventi, le esperienze e le dinamiche correlate a noi. Sono tutti messaggi di questa vita per la nostra evoluzione, il pilota automatico influenzato dal programmatore che ha scritto il programma. E ad ogni step evolutivo il programma cambia, si evolve, progredisce, cambiando a volte il modo in cui vediamo le cose, vedendo cose che non consideravamo, trovando il nuovo nel vecchio. Cambiando. Esattamente come ogni crescita censisca anche un cambio di gusti alimentari, o l’avvicinamento a una fragranza che non si gestiva o tollerava precedentemente.
E spesso in punto di morte, o giu di lì, c’è un momento in cui si vedono le cose reali, le cose come sono davvero, si vede dio, e l’amore, in ogni cosa, in ogni direzione, proprio perché l’essenza divina che abbiamo internamente si alza e ti prende per mano per accompagnarti nel passaggio verso la prossima esperienza.

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