La Rabbia è un sentimento rivolto verso l’interno. Arrabbiarsi è perdere il controllo. L’altro, l’ipotetica causa è solo il cartello luminoso che indica la via verso di noi. In ambito di coerenza la rabbia è l’indicatore di quanto ce l’abbiamo con noi stessi per avere perso il controllo. L’interessante approfondimento che segue rivela quanto questo sia un autentico avvelenamento interiore. Arrabbiarsi avvelenandosi, per l’appunto.

tre veleni ( sanscrito  : triviṣa  ; cinese  : sāndú三 毒; giapponese  : sandoku ), “tre veleni” o “tre contaminazioni” ( kleshas ) sono nel buddismo le radici karmicamente cattive (pāli: akusala-mūla ) che portano a dukkha  :

  • Moha o avidyā  : sconcerto o ignoranza;
  • Rāga (pāli: taṇhā, lobha ): sete, avidità, lussuria;
  • Dveṣa ( pali : dosa): avversione, odio o rabbia.

Questi tre veleni sono associati a tre animali:

  • il maiale simboleggia l’ignoranza;
  • il gallo, attaccamento;
  • il serpente, l’avversione.

Alcune scuole ne aggiungono due: gelosia e orgoglio.

Secondo il Buddha, le cause della sofferenza umana possono essere trovate nell’incapacità di vedere correttamente la realtà. Questa ignoranza e le illusioni che ne derivano conducono all’avidità, al desiderio di possedere più degli altri, all’attaccamento e all’odio per le persone o le cose.

La sua filosofia afferma che la sofferenza nasce dal desiderio o dall’invidia. È liberandosi da esso che avrebbe raggiunto il nirvāṇa .

Secondo il 14 ° Dalai Lama, secondo le rappresentazioni iconografiche, troviamo il serpente e gallo dalla bocca del maiale, questo sembrerebbe indicare che l’ignoranza è la radice delle altre due veleni.

Ciò che mi colpisce ulteriormente in unione, in intersezione, o in esclusione, è generalmente permalosità o suscettibilità. Questi pur non rientrando nei veleni sociologici o buddhisti, sono di certo una bella scocciatura. Queste le definizioni ritrovate nella nostra lingua:

permalosità
/per·ma·lo·si·tà/
sostantivo femminile
Ombrosa o risentita suscettibilità.

suscettibilità
/su·scet·ti·bi·li·tà/
sostantivo femminile
Eccessiva e ombrosa sensibilità verso tutto ciò che sembri rappresentare un giudizio critico nei propri riguardi.

Due definizioni con in comune una parola: “ombrosa”. Quindi scura, non illuminata. L’ombra è la proiezione di un oggetto illuminato però. Capisco che messa così suona quasi da scusante. Però mi sarei rotto i coglioni di quella parte di me che funziona così. Sopporto con fatica di essere trattato male in tre momenti precisi del giorno, sopporto con fatica la dissonanza cognitiva, o elastici di atteggiamento, incoerenze speculari sicuramente, ma che raccontano anche di me, della mia parte programmata, buonista, falsocortese probabilmente, o forse no. Fatto sta che in quel momento ci rimango male, e mi arrabbio pure, quindi me la prendo con me. E ci rimango male di nuovo, quando realizzo che devo vedere nuovamente quel film, quella sceneggiatura è nuovamente lì perché io ne veda la parte mancante.

Sicuramente ciò che sto approfondendo legato alle memorie del potere, i segnali umani tipici di chi urla ”io ci sono, io esisto”, vedere o meno riconosciuto il proprio ruolo, il proprio potere, o la leadership, benché intesi (ruolo, potere e leadership) in una maniera interiore, non verso gli altri, sono tutte cause ed effetti concatenati allo stesso modo.

Chi mi tratta diversamente da come l’avrei trattato io, quale caratteristica evolutiva di me vuole o può mostrarmi? Inconsciamente tra l’altro, anche perché guardare al perché l’altro faccia così, è stancante, devastante, e vige la legge del tornaconto, esattamente come per l’aiuto non richiesto, quando viene chiesto e non vi è corrispettivo di alcun tipo, le cose poi vanno male e ritornano esattamente come prima, con gli interessi di marcescenza.
Chi nell’incoerenza di venire meno ai propri impegni fa danno a se e a chi ha vicino, come può e deve essere scollegato da me?
Sempre l’incoerenza, lontananza dalla verità, negli atteggiamenti eccessivi, tipici ipo e iper, da drammatico chakra della radice che strilla, mi rappresentano forse al presente, o al passato, al futuro, al condizionale? A quale forma e tempo verbale mi parlano, mi mostrano qualcosa?
Se qualcuno non mi rispetta come dovrebbe, potrebbe, o vorrei, ed io so benissimo il perché, posso forse appellarmi a qualcosa esonerando la mia evidente ed innegabile colpa? Perché quella colpa, che allo specchio è un merito, evolutivo senz’altro, è tutta del soggetto scrivente…

Accettare e lasciare andare, si ritorna all’ABC, in men che non si dica. Dal livello cielo al livello terra-terra in un batter di ciglia.
Polvere siamo e quella sempre alzeremo.

Oggi, luna piena o meno, astro che influisce sulla parte fisica e irascibile, ma solo se il livello è basso, ho difese immunitarie basse, con mal di testa da errata trasformazione, stanchezza da errata gestione energetica, sintomi influenzali da guarigione da una malattia che non sapevo che stavo prendendo. In sostanza non sto un granché, ho ancora due giorni di fuoco di lavoro da 12 ore consecutive, un disallestimento con interminabile e affaticante quanto affascinante rompicapo a 5 gradi sotto zero che mi aspetta. Già oggi mi sembra di morire.
I presupposti ci sono tutti per morire, per morire nuovamente una parte che ha rotto il cazzo.
Umilmente, accettare di essere ad un livello umano talmente basso che risalire sarà duro, nuovo, e alquanto faticoso, speriamo che la montagna stavolta sia diversa, ci terrei a vedere nuovi panorami.

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