Mi sono scelto tre temi davvero particolari. A istinto. La prima “s” è uscita da sola con una pressione affrettata sulla tastiera. Quindi la prima parola aveva l’imbeccata. Il resto è venuto da solo. Poi ci penserò io ad andare fuori tema.
Oggi sono pervaso da energie, sensazioni ed emozioni di dolore e di tristezza. Misti a lucidità ed equilibrio. Ieri ho ricevuto una lezione di vita, l’ennesima, da una persona che con un disarmante raccontare, volutamente da me richiesto, mi ha trasmesso con una tranquillità apparente ma dai tratti quasi umilianti, ulteriori dettagli, mancanti, di un’esperienza di vita eccezionale. Un’opportunità eccezionale, una sofferenza ed un dolore eccezionali. Ma come la ghisa, impossibile da piegare, racconta di sé come in terza persona, della sua avventura infantile farcita di ogni tipo di violenza possibile. Una capacità ed una determinazione tipiche di chi ha vissuto tutto ciò e ne è sopravvissuto, attendendo l’alba di quella nuova vita che andava cercata, non attesa. Accezione su domanda interiore su un’eventuale debito karmico, richiesta lecita per trovare una motivazione, seppur senza risposte ovvie, ma dinamica ma dal continuo ripresentarsi, seppur in maniera più esigua, di spunti tipici della sua riesumazione. Riesumare, di solito questo verbo si riferisce al corpo senza vita. Rigido, immobile. Come chi cerca di resistere ad una violenza. Quindi la riesumazione è simile ad una rigidità, o perlomeno io in questo momento l’ho ricollegato. Di sicuro, grossolanamente, questo tipo di esperienza, condivisa con me, ha un simbolismo speculare che ferisce come una lama a serramanico nello stomaco, entra ed esce, lacerando la carne in ogni suo movimento. Un taglio, a cui si aggiunge una lacerazione. E infatti il mio cuore è lacerato, nel vedere come in un film il passato tentativo di lacerazione, o per citarne uno dei miei preferiti, il tentativo di “amputazione di un’anima”. In quel film, il colonnello Frank Slade, un peso morto per la tribù, a suo dire, prende le difese di un’anima nobile che si trova di fronte ad un burrone, per inseguire la sua integrità.

Di integrità ognuno di noi ne ha una, a cui si ispira, per un esempio nobile, o per qualcosa che spinge da dentro. Spesso accade che la nostra, innata, sia comunque figlia di schemi o costruzioni. Curiosa la natura umana. I bambini piccoli, se non sorvegliati, possono cavarsi gli occhi tra loro, come un istinto tipico da occhio per occhio, istintivamente libero da una legge da osservare. L’animale attacca o uccide per necessità o per difesa. L’uomo per scelta. Sì, perché è sempre una scelta. Arbitraria. E l’arbitro è comunque potenzialmente corrotto, come la nostra mente. Ma tutti noi lo siamo. Quando difendiamo il sangue del nostro sangue ed ignoriamo l’alieno, lo sconosciuto. Che è come noi, ad immagine e somiglianza. Dio nelle scritture sacre, sebbene riscritte e tradotte lo insegna, lo indica. Eppure noi siamo sempre lì a distinguere, selettivamente, a giudicare. Entrando in uno schema di comportamento, di giustizia di parte, sempre senza rendersi conto. Esattamente come per il bene ed il male, elaboriamo il fare o il subìre, ricordando più facilmente la seconda, sia in positivo che in negativo. Subìre viene ricordato, portato con sé, anche più facilmente del ricevere. Eppure potrebbe essere anche la stessa dinamica. Comunque otteniamo, qualcosa che evolutivamente ci serve. Io sono ancora, se scelgo, quell’infante capace di cavare gli occhi, di fare del male, solo per esplorazione. Esplorazione del mio mondo. La capacità di discernere il bene dal male, o la differenza che questa dualità può avere con la neutralità, o indifferenza, si ottiene solamente vivendo entrambe le precedenti simmetrie. Così come Amore ed Odio, due forze, due energie o vettori, dalla differente direzione, ma medesime nella forma, o nell’intento. Osservare atti di violenza senza reagire, piuttosto che desiderare giustizia o immaginare il “contrappasso” dantesco, per un’azione che noi stessi abbiamo creato, scelto, per un criterio evolutivo direttamente proporzionale alle nostre capacità, rappresenta un peso affine alla nostra forza, un dolore dall’estensione speculare alla grandezza del nostro stomaco. Il punto nevralgico della trasformazione, il punto energetico chiave dedito al lasciare andare, una fabbrica in cui ogni energia o emozione “sganciata”, mollata, o lasciata correttamente andare, crea giusto spazio per il “nuovo”, come l’idea o l’intuizione ricercata o inseguita, o sorprendentemente ricevuta.

“Io non valgo un cazzo, è sempre stato così”. Altra emblematica frase de Profumo di Donna, il film di cui sopra, in cui il colonnello rivela a suo fratello il suo affranto destino suicida. Eppure proprio ieri sera un altro film che non rivedevo da moltissimi anni, mi rivela che io non sono i miei soldi o il mio stile di vita. E aggiungerei, non sono nemmeno le mie parole, o le sensazioni, energie ed emozioni che permeo, che tento di trasformare, per provare a passare al mio livello superiore. Perché sul mio cammino c’è questo? Inutile domanda, da sostituire con la più difficile affermazione: grato di tutto ciò, grato dell’opportunità. A dispetto del tempo concesso. Così come una delle più grandi opportunità, l’esperienza relegata o regalata dal demone, Satan, l’ostacolo che divide il fiume nella dualità prima del ritorno all’Uno, alla via, la luce, il padre, colui che rappresenta l’unità nella trinità.

Stasera cammeo di film, Soul in questo caso. Cerchiamo il nostro scopo, la scintilla, ignorando che sia soltanto l’essere “pronti a vivere”, quando spesso siamo qui senza coscienza di cosa e come stiamo vivendo e soprattutto, se stiamo onorando la nostra opportunità, se stiamo evidenziando e avvalorando le nostre innumerevoli fortune. Smettere di chiedersi il perché, spostando il punto di osservazione all’interno, per cogliere il viaggio, non la meta.
L’esperienza e il messaggio di uno specchio come quello dell’anima che mi ha insegnato innumerevoli lezioni, infinite, tra cui anche come non piegarsi di fronte alla violenza, cercare anche a pezzi una propria Via, nonostante possa sembrare impossibile, non ha una punteggiatura leggibile, un messaggio chiarissimo ed evidente, specie per le nostre misere, semplici ma immense umane capacità. Questo messaggio ha una forma energetica chiara, ma non ha parole per descriverlo. E allontanarsi da questo mi costa, nel “conto” c’è una lacerazione a serramanico, ma devo seguire quell’istinto, quel comando, quel sentire, altrimenti rischio di perdere il collegamento con me stesso. E la risposta arriverà, non ora che la mia mente meccanicamente la cerca, ma solo quando non la cercherò più, magari propenso ad altro, lasciando andare qualcosa che lasci spazio a quella risposta, che sarà la tessera di quel mosaico meraviglioso di cui sono artefice, autore, ed animicamente responsabile.

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