Essere. Il senso della vita. Anziché fare. Anziché dare. Ancorché avere, essere. Ancor prima di tutto essere.
Ebbene sì, perché avere è un concetto legato alla materia, qualcosa che si perderà prima o poi. Lo stesso vale per il fare e il dare. Azioni. Che restano nel flusso, sì, forse nel momento, magari non si perdono, ma non rimangono.
A quel punto, dopo l’essere, come effetti collaterali avvengono il fare, dare o avere. Finiti e circoscritti nella materia.

Se sei, sei. Al presente. Come un dono. Un dono vero. Sei. Doppio tre. Doppia perfezione, doppia trinità. Corpo mente spirito, al quadrato. Padre madre e spirito, alla doppia elevazione.
Eppure la difficoltà del nostro cammino materiale sta inizialmente nel risolvere la dualità, la scissione e ricongiunzione all’Uno, per poi elevarsi alla trinità dell’Uno. Essere è un qualcosa di intangibile, qualcosa che propende solamente al vero. Non è un pregio, ma un valore interiore. Quasi una condizione necessaria verso il proprio scòpo. Qualcosa di cui ho già parlato. Si “è” più facilmente quando si è già stati persi, quando lo smarrimento erra fino a casa. Il figliol prodigo che ritorna al padre. La dualità che si ricongiunge nella perfezione dell’uno.

Curiosamente vedo questa perfezione in situazioni che sembrerebbero altamente problematiche ai più, o ai babbani. Malati terminali che proiettano la perfezione dell’essere nell’equilibrio.
La malattia di Alzheimer ad esempio a volte insegna anche questo. Persone miti che esordiscono in una nuova personalità rissosa e scontrosa, quasi a recuperare l’ignavia non scontata precedentemente . E lo stesso vale per l’esatto contrario. L’anima di questi individui ad un certo punto si stufa talmente tanto di noi, del cruscotto, o di tutto il companatico, al punto che comincia a fare come il gatto in Constantine. Comincia ad Essere, nel modo piu puro e veritiero (relativamente al suo percorso, e ricordo che stiamo parlando dell’anima), e nell’esercizio della semplice funzione vitale umana regala perle, dà spettacolo, infrange barriere, in sostanza ti manda affanculo, che a ben pensarci a volte potrebbe essere anche la soluzione più veloce.

Passando da un piano all’altro, ma con il segreto professionale da mantenere, di certo non ha racconti idilliaci sui verdi prati edeniani, ma solo la trasposizione con benevolente sorriso su quanto siamo limitati su questo piano. E come quando evitiamo un rimprovero al neofita perché alle prese con una basilarità di vita per noi passata e digerita, colui che attraversa quei piani non può che sorriderci o soprassedere, regalandoci al più sbuffi sulla nostra ignoranza. Parliamo comunque di un umano con divisione non duale e condizione sofferente da sopportare nella forma umana.

Chiaramente dico ciò perché ho avuto esempi casalinghi di qualcosa di misteriosamente perfetto, impossibile e soprannaturale allo stesso tempo. La condizione normale è limitata al confronto di coloro che hanno questo sbalzo dell’anima. È una condizione di premorte, che può anche perdurare a lungo, divenire una nuova normalità, uno schema. Forte! Uno schema.
Eppure per noi uno schema è notoriamente di tipologia mentale.
Ma non siamo forse Noi lo schema di Dio? Quindi come nella premorte anche in quelle condizioni di malattia siamo più vicini al padre di quanto non lo siano le prime file vaticane o i fedeli alle funzioni religiose feriali pomeridiane, ancor più di coloro che sponsorizzano la povertà come salvezza (gravissimo schema costruito appositamente per abbassarsi di livello), il pellegrinaggio come espiazione, il sacrificio come redenzione.
Ma su quest’ultima nutro il dubbio per cui già quella forma di malattia ne possa causare o conseguire lo stato vero e proprio.

Sacrifico la mente razionale con tutti gli schemi ricevuti e costruiti in vita per regalarmi un’esperienza remotamente inversa e vera dell’essere, come step necessario all’ascensione della mia anima.
Ti amo nonna, che sei Mamma per me, da quando sono nato lo sei stata, oltre a mia mamma, e non avrò dubbi nel considerarti tale e ringraziarti di avermi salvato da quella sorte.

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