Brunello di Montalcino, il vino mio preferito, che preferisco bere, il vino del battesimo, Il Vino. Sebbene ce ne siano di migliori questa bevanda porta con se la prima volta che ho realmente bevuto vino rosso. E quella volta è stato una perdita di verginità, per quel ragazzo che detestava vino. Non capiva addirittura il detto del “buon sangue”, forse per condizione acerba. Poi è passato tanto tempo fino a quel fatidico 2012, dove a quell’aperitivo meraviglioso, dalla Milena alla Brasserie di Riccione, l’ibuprofene ha esaltato quello spirito mal inserito. Ed esattamente come la prima sigaretta, chiuso in quel bagno del villaggio vacanze a Rodi, quella stonatura strepitosa che desideravo avesse fine il prima possibile, ha lasciato spazio alla volta successiva ed a quelle seguenti. Poi negli ultimi 10 anni, riprendendo la carriera di bevitore occasionale, ho dovuto sperimentare ed approfondire, appurare e perfezionare, la trasformazione dell’alcool in spirito. Altrimenti bere vino non ha scopo, ne utilità. O se ce l’ha, è puramente ludica e autodistruttiva.

Bere quasi esclusivamente vino rosso, corposo e d’annata, giornalmente, è uno dei fattori che sto analizzando in questo momento specifico. Insieme ad altre particolarità che mi contraddistinguono in maniera originale in questo periodo, discretamente lungo, e mi rendono diverso, strano, atipico, nemmeno tanto se consideriamo la media esterna, ma esclusivamente nei confronti di tutti questi fattori messi insieme, che scopro ora con stupore della sua semplice risultante.
In ordine non cronologico posso dire di me alcune cose, dinamiche, eventi e ridondanze, che si verificano e che cercherò di mettere insieme. Ad intervalli irregolari ed imprevedibili, da anni, interviene un dolore freddo e strano al petto che io definisco “buco nel polmone”, un vortice artico e circoscritto, diverso dal dolore dell’infarto, molto leggero ma fastidioso, che ultimamente spero sia la rigenerazione dei tessuti intaccati dalle tossine del fumo. A volte dura pochi minuti, altre volte perdura. Questo in passato mi immobilizzava e pregiudicava le mie giornate, ora attendo quando si presenta il suo termine, distraendomi per non percepire ripercussioni sul suo manifestarsi. Ogni anno, tra la fine di gennaio e l’arrivo dell’estate, vivo un periodo depressivo, di mancanza, buchi economici ed emotivi. Nell’ambito del mio lavoro fieristico, svolto per tante ore in piedi, spessissimo mi rendo conto di come sia tendente a spostare tutto il mio peso sul piede e sulla gamba sinistra. Con evidenti ripercussioni sulla stanchezza, sui calli, e riflessione sul carico emotivo rispetto a quello materiale.
Sin da bambino amo le arance rosse ed il suo succo, rispetto a quelle “tradizionali”, al punto di effettuare un toto arance, nell’atto di aprirle prima di spremerle, nella speranza di trovarne tali, ma deluso dalla presenza di quelle gialle, quasi a scommettere sulla fortuna di trovarne rosse.
Ho vissuto sin da bambino, ma anche successivamente ed anche occasionalmente tuttora, situazioni ed emozioni legate alla prigionia, ad una gabbia, riferite ad un karma probabilmente antico, che mi ha portato alla conseguente tendenza al tenere nascosto le cose, mentire, occultare ciò che per mio eventuale tornaconto celo in un armadio come all’esame di anatomia.
Un’altra dinamica principale nella mia vita è stata ed è predominante come l’impotenza, espressa nel non riuscire a reagire, o a rispondere, o a slegarmi da una corda, una costrizione. In tutti i significati possibili del suo ossimoro.
Negli ultimi anni, soffro di un particolare fenomeno di Reinaud, per cui ad un improvviso calo di temperatura verso il basso, anche minima, le mie mani a partire dall’anulare, e via il mignolo e poi le altre, diventano gialle, in uno shock termico imbarazzante, e fastidioso, che richiede tempo o abbondante acqua calda, come se il freddo mi congelasse, sebbene a volte lo sbalzo termico sia minimo. In metamedicina, questo fenomeno si riferisce all’incapacità di essere d’aiuto in determinate situazioni esterne.
Sin da piccolo, ho sempre avuto una particolare passione per i vampiri, o meglio le vampire, e le zingare. C’è un’eredità karmica da considerare, ma comunque è evidente questa dinamica. E data la mia borghese o pseudo-tale condizione, tipicamente adattata, ogni condizione diversa, di varie tipologie, spesso malate o borderline, mi ha sempre attratto e intrigato, pur cosciente delle eventuali o evidenti diversità, incompatibilità, rispetto a quella pulsione che mi travolge senza capirne il perché.
Sono ormai anni che mi sono abituato ad un nutrimento ed un sostentamento molto originale. Tendo ad avere un unico e solo pasto, serale. In ogni altro momento del giorno, non spinto dall’appetito, non sono in grado di trasformare, e non ho nemmeno cali energetici, e quelle poche volte che mi sforzo di partecipare ad un pranzo comandato, o sostentarmi con una colazione o uno spuntino di intermezzo, puntualmente non digerisco come al pasto serale. In quei casi la digestione mi si piazza nello stomaco come un problema, un fastidio, una difficoltà. Mi nutro insomma in favore della luna, anziché del sole.
La mia precedente condizione che mi vedeva eccessivamente sovrappeso mi rende tutt’ora suscettibile al minimo cenno di gonfiore o di eccesso, vedendomi grasso, ogni volta in cui eccedo nel gonfiore, al cospetto di un coro di pareri unanimi che mi descrivono come troppo magro o sciupato.
Al contempo, con questo tipo di alimentazione tendo ad affogarmi di cibo, a volte quasi a farmi del male, stralcio del passato in cui rifugiavo nel manipura per coprire un buco, ed in cui troppo ingrediente carboidrato tende tuttora a rendermi più stanco e sonnolente, per cui se posso lo evito, come se da quella intolleranza non riesca a rientrare. Ma questo è sicuramente legato alla mia tendenza a non avere una misura, un limite, al punto davvero di distruggermi. Quindi l’astensione da ogni farina mi rende meno stanco, dormo e riposo meglio, per non rinunciare alle mie abbuffate, che so bene derivino dalla paura di non avere abbastanza, dalla paura di perdere, di un ricordo di quando avevo di meno, della relativa paura di ritornarvi, sebbene sia tutta una finzione mentale, vista la ricchezza che anche privo di denaro sono capace di proiettare.
Negli anni scorsi in particolare, oggi con minore ma presente manifestazione, in situazioni di rilassamento, la mia parte sinistra del corpo rispetto a quella destra ugualmente rilassata o disposta, e quindi braccia, mano, e parte esterna della coscia, tendono ad addormentarsi, con conseguente ed evidente panico da torpore.
Tante altre dinamiche simili, come la tendenza quasi dipendente dall’essere benvoluto e detestare i battibecchi, le questioni e le discussioni, ha fatto sì che io mi trasformassi in un essere molto gentile ma altrettanto suscettibile e permaloso.

Tutte queste dinamiche hanno una risultante sul mio essere a mio agio circondato da donne, sin da bambino, sia a livello educativo, che amicale, che sentimentale. Non ho ricordo di avere avuto una figura maschile di esempio, esempio infallibile, privo di delusione, cosa mai provata verso il genere femminile nelle sue figure familiari ed educative. Le figure maschili che ho costruito nelle persone vicine a me, che rappresentavano una figura paterna o quella di fratello maggiore mai avuto, una figura protettiva, non sono state coerenti nella durata, senza scadermi, cosa mai successa con il genere femminile, sebbene genere con cui ho tuttora più scontri.
E tutto questo ha una sola motivazione. La figura del mio padre biologico, che fortunatamente grazie a mia nonna è stato tagliato fuori perché puttaniere ed impostore tanto quanto me, si è ripercossa sul mio essere ancor prima di conoscerne la storia o le motivazioni. E ciò è avvenuto intorno ai trent’anni, quando sono andato a conoscerlo per l’unica occasione disponibile per me, ed al di là del ri-conoscere quella parte di me che già esercitava inconsciamente, ho fatto pace con quella mia radice. Quell’uomo che conobbe mia madre mentre aveva già una fidanzata e probabilmente un’amante, e che anche in quell’occasione, di fronte al figlio che voleva solo conoscerlo, impaurito dal timore che io fossi lì a chiedergli del denaro oltre alla mia evidente curiosità nel conoscere una persona prima che la morte potesse un domani farmene pentire nel non averlo fatto, si arrampicava ancora sullo specchio della menzogna, quasi a nascondere la bugia antica, rimossa, e portata a sua odierna verità. E tutto ciò è stato chiaro nella differenza tra le sue parole (sì certo, tua madre aveva anche altri amici…), con il sofferto e potente abbraccio d’addio che mi ha dato quando ci siamo salutati. Oltre al suo timore ed al suo rifiuto nel farmi in ogni modo conoscere i fratelli che ignari di tutto, io potessi avere. Il problema è che io sicuramente ho chiuso il cerchio ed ho fatto pace con lui, anche in sua assenza o senza che lui lo sappia, in maniera umana ed emotiva. Oggi mi rendo conto di doverlo fare anche in maniera energetica e spirituale.
Sto mettendo nel mio focus la modalità che più consona potrà avvenire per espletare questo mio buco energetico e spirituale, di cui a lui sono grato e che non posso sottovalutare. Non vedo l’ora.

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