Facebook un attimo fa mi proponeva l’iscrizione ad un gruppo il cui nome mi ha scosso e ricordato di ricordarmi di me. “We live in a simulation”. Già. Viviamo in una simulazione. Ci avevano provato al tempo i fratelli, oggi sorelle Wachowsky, nell’ammissione che il film cult The Matrix, fosse in realtà un tentativo di dimostrare una linea di realtà di questa vita con un documentario. Come più volte detto, approfondisco sia in fase di studio che in esperienza di vita, che ogni cosa esterna a me è esattamente una proiezione interna a me, messa perfettamente di fronte affinché io evolva. Mi trovo nella città con il miglior clima d’Italia, in cui le differenze e gli schemi umani si avvicinano creando una specie di quartiere satellite alla vicina Costa Azzurra. L’ipotetico agio, l’ipotetico benessere, la ricchezza ed il relativo modo di mantenerla, ma soprattutto di mostrarla, così come lo stereotipo di bellezza, anche questo impacchettato e mostrato ad ogni costo, come un vestito scollato innaturalmente o volgarmente ma esattamente conforme al disegno tatuato sottostante.
Proprio ieri l’avvocato, in un nostro confronto su un problema spinoso, mi chiede “ma lei cosa vorrebbe?”.
Questo perché secondo le regole del gioco avrei dovuto agire in maniera diversa, senza fidarmi di chi ci sta solo nel prendere, e una parte della mia onestà mi ha fatto saltare alcune regole del gioco, per cui ora pago delle conseguenze. Quindi di fronte all’inevitabile scenario, inevitabile severissima ma materna lavata di capo, infierisce con la domanda.
La prima risposta sarebbe stata “nulla”, la seconda che ho cercato di comunicare è stata un’articolazione di “quel che inizialmente avrei voluto”, per poi sentire arrivare da dentro la classica “vorrei che di tutto ciò non dovessi occuparmi, e/o che si risolvesse in nulla”. Quest’ultima, solo nella mia testa, conferiva a me stesso la negazione della realtà, pronta ad intervenire come il più classico degli schemi che mi trovo ad affrontare ed osservare, una realtà però creata da me e dalle mie scelte. Ottenere la realtà che desidero ad ogni costo, non fa per me, non so nemmeno se ne abbia fatto in passato parte, ma di certo sono sicuro di qui a venire della precedente affermazione.

Quel meccanismo per cui nel focus di alcune persone che, (s)fortunatamente in questo momento possono anche essere miei clienti, tentano ad ogni costo di mantenere o mostrare qualcosa di fugace o effimero, mi provoca fastidio, anche perché pure in quel caso, ogni mio tentativo di togliere quella spada dalla roccia è vano. E non parlo di portare a casa la vendita, ciò mi provoca dispiacere, subito dopo a quel fastidio, come il fastidio di riconoscere quegli atteggiamenti superficiali per cui “si vuole lasciare un mondo migliore ai figli”, anziché dei “figli migliori al mondo”. Quindi il fastidio di vedere quei piccoli stronzetti, già convinti di cose assurde e in alcuni casi nemmeno puramente materiali, farciti da supponenza e spavalda ineducazione, va a pescare dentro di me, come un indicatore di ciò che ho, potrei essere, sono, sarei, o addirittura desidererei, desiderio passato forse, ma frutto, come tutto il resto che mi infastidisce, di mancanza di attenzione e presenza. Ciò di cui il mondo è pieno, esattamente come me.
In passato, e nemmeno tanto indietro avrei etichettato come scarsamente intelligenti quegli individui, che in realtà hanno le mie stesse capacità, solamente puntate come un laser in una differente direzione. Probabilmente energie basse, come gli istinti e i sogni già citati, piuttosto che il mangime che il Grande Allevamento ci ha sempre fornito, e che come una zona confort, è sempre gradito. Capisco anche che tutto ciò sia perfettamente confezionato per agire sulla materiale aspettativa e paura umana legata al potere, alla sicurezza, ed alle sue relative mancanze, eccessi, ambizioni. Ho visto alcune persone anche in estrema difficoltà, con gravi problemi di salute, indice di un campanello di allarme, orientare ancora lo sguardo sull’esercizio di potere sugli altri, come un dono difficile da esercitare in quel momento di malattia, anziché godere di essere vivi, e commuoversi di fronte alla bellezza dei propri figli, imploranti attenzione, che se ne va però alla ricerca di altro. Esattamente come tanti altri piccoli stronzetti che ho intorno qui, probabilmente bambini senza cellulare e tablet, ma egualmente mele vicino all’albero di un atteggiamento privo di presenza, coerenza, con un senso di giustizia sommariamente egoistica, di cui con estrema probabilità io sono un esperto, visto l’enorme fastidio che mi da.
Poi però, vedo quella bambina impacciata di ieri sera, probabilmente affetta da un cronico disagio rispetto a chissà quali amiche più filiformi di lei, ma bellissima, sverniciata dal papà solo perché aveva toccato un oggetto messo proprio lì dove poteva essere toccato, cosa sicuramente non vietata, scusarsi con noi più e più volte, con gli occhi lucidi, e passare dalla mano del papà a quella di mamma, e di nuovo a quella del papà, come maestro protettore del suo immenso cuore umile e potente.
Ecco, io ero anche quella bambina, e nonostante la rigidità schematica genitoriale, ringrazio che ci sia lei, che si sentirà sola al mondo in mezzo ai suoi compagni di classe, perché non è come loro, o perché i suoi genitori fanno o non fanno qualcosa, sola e diversa da ogni coetaneo, al punto di sentirsi sbagliata, al punto di soffrire a lungo e solo senza mollare poter diventare una persona speciale, quello che io e lei sentiamo e sentivamo da bambini, pur avendo intorno tutto quel fastidio, tutto quel dolore, tutta quella finzione, che sembra dettare legge, nell’immensa simulazione di questo fantastico documentario.

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